XI DOMENICA TEMPO ORDINARIO. Anno B

Mc 4, 26-34

“Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga” (vv. 26-28)

Esiste una realtà, in cui siamo immersi e che ci pervade, che fa sì che tutto emerga, cresca e si compia. E questo ‘spontaneamente’, senza forzature, senza il nostro intervento, o di qualcosa d’esterno. Anzi, meno ci si pone di traverso, più questa forza farà il suo corso, conducendo tutto in porto. 

«Coloro che fluiscono come scorre la vita, sanno di non aver bisogno di altra forza» (Lao Tse). 

Il non fare è ciò che di più grande e produttivo si possa compiere. Nella vita spirituale – come nell’arte – quanto meno si opera maggiormente si crea. 
Compiremo l’opera più alta quando l’ego e i nostri sforzi consapevoli s’arrenderanno a questa forza che non è la nostra. 
Non esiste ‘un noi’ a cui accadono le cose diverso da quanto sta accadendo, e di conseguenza le cose non accadono ‘a noi’. Noi siamo (nel)le cose che accadono. Le cose accadono e insieme ci accadono e basta. 
Il ‘noi’ fa parte di ciò che accade, perché facciamo parte dell’universo. E l’Universo non ha parti. È Uno.

“Che cosa cerchi? 
La sorpresa suprema”. 

Ciò che cerchiamo alla fine è solo la ‘sorpresa suprema’, e nella misura in cui abbiamo dei preconcetti su di essa, la guasteremo. 
Il principio che regola l’Universo è la sorpresa, e la spontaneità. Significa compiere un miracolo senza compiere miracoli, senza far nulla, senza programmarlo. 
Quando smetti di desiderare il miracolo, il miracolo si compie.

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